IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    1.  -  Con  sentenza  di  questo tribunale in data 20 maggio 1999
veniva  dichiarato  il  fallimento di Pavone Adriana, nata a Penne il
10 marzo 1954.
    Con  decreto  dello  stesso  Tribunale  in  data 31 marzo 2005 il
fallimento veniva chiuso ai sensi dell'art. 118, n. 4 l.f.
    Con  ricorso  depositato in data 13 febbraio 2007, Pavone Adriana
ha  chiesto  la  riabilitazione  civile  in applicazione del disposto
dell'art. 143, n. 3, l.f.
    Il  p.m.,  in  data 21 marzo 2007, ha formulato parere favorevole
all'accoglimento della domanda.
    2.   -   Sebbene  ricorrano  nella  specie  gli  estremi  di  cui
all'art. 143,  n. 3,  l.f.,  atteso che il fallimento si e' chiuso da
oltre  5 anni, che nel periodo il debitore ha tenuto buona condotta e
che  non  sussistono  a  suo  carico  le  condizioni  ostative di cui
all'art. 145  l.f.  (avendo  riportato lo stesso solo applicazioni di
pena  ex  art. 444  c.p.p.),  occorre  preliminarmente  affrontare la
questione  dell'ammissibilita' del ricorso, depositato dopo l'entrata
in  vigore  del  d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, di riforma organica del
r.d.  16 marzo  1942, n. 267 (legge fallimentare), il quale ha inciso
per piu' versi sull'istituto della riabilitazione.
    3.  -  Come  e' noto, il suddetto decreto di riforma ha avuto una
entrata  in  vigore differenziata. A norma dell'art. 153, infatti, il
16  gennaio  2006  (data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) sono
entrati  in  vigore  l'art. 45  (che  ha  sostituito  l'art. 48 l.f.,
prevedendo,  in  luogo  della  consegna  diretta  al  curatore  della
corrispondenza  del  fallito, l'obbligo di quest'ultimo di consegnare
al  curatore  quella riguardante i rapporti compresi nel fallimento),
l'art. 46  (che  ha  sostituito  l'art. 49 l.f., prevedendo, in luogo
dell'obbligo di residenza del fallito, l'obbligo di comunicazione dei
cambiamenti  di  residenza ed eliminando il potere di accompagnamento
coattivo  del fallito), l'art. 47 (che ha abrogato l'art. 50 l.f., il
quale  istituiva  il  pubblico  registro dei falliti, esigendo per la
cancellazione  delle relative iscrizioni una sentenza del tribunale e
subordinando alla cancellazione la durata delle incapacita' stabilite
dalla  legge  a  carico  dei  falliti),  l'art. 151  (che ha abrogato
1'istituto  della  transazione fiscale) e l'art. 152 (che ha abrogato
l'incapacita'   elettorale   attiva   e  l'incapacita'  all'esercizio
dell'attivita'  di  consulenza  per  la  circolazione  dei  mezzi  di
trasporto, gia' previste a carico dei falliti).
    4.  -  Le  norme  appena  ricordate, le quali secondo quanto gia'
ritenuto  da  questo  Tribunale  sono applicabili anche ai fallimenti
dichiarati prima della loro entrata in vigore, potrebbero avere gia',
dal  16 gennaio  2006,  reso inammissibili, per carenza di interesse,
nuovi  ricorsi  per  riabilitazione. Infatti, secondo la formulazione
originaria  dell'art. 142  l.f.,  la  riabilitazione  aveva l'effetto
(costitutivo)  di  determinare  la cancellazione del nome del fallito
dal  registro  previsto dall'art. 50 e di fare cessare le incapacita'
personali  che  colpiscono  il  fallito  per  effetto  della sentenza
dichiarativa  di  fallimento  (laddove  le  incapacita'  patrimoniali
cessavano  -  e  cessano  -  per  effetto  della  sola chiusura della
procedura,  a  norma  dell'art. 120 l.f.). Per quanto il novero delle
incapacita'   personali   conseguenti   al  fallimento  (e  non  alla
iscrizione  nel  registro  dei  falliti,  che non aveva, a differenza
della  cancellazione,  effetto  costitutivo)  sia  notevolmente  piu'
esteso   rispetto  a  quelle  espressamente  abrogate  dal  ricordato
art. 152,  d.lgs.  n. 5/2006  (possono  ricordarsi,  ad  esempio,  le
incapacita'  previste  dagli  artt. 350,  355,  393, 424, 2382, 2399,
2417,  2488  c.c.;  dagli  artt. 8  e  124 t.u. 12/1941 in materia di
funzioni  giudiziarie  e  di  partecipazione  al concorso per uditore
giudiziario,   nonche'   da   analoghe  disposizioni  in  materia  di
iscrizione  ad  albi  professionali,  di requisiti per l'esercizio di
professioni   sanitarie   e,   piu'  in  generale,  dalle  norme  che
subordinano  l'esercizio  di  talune  facolta' al pieno esercizio dei
diritti  civili), sicche' anche dopo il 16 gennaio 2006 il fallimento
continua  a  produrre  incapacita'  personali oltre che patrimoniali,
l'abrogazione   dell'art. 50  l.f.  ha  fatto  venir  meno  l'effetto
costitutivo   della   cancellazione,   svincolando  la  durata  delle
incapacita'  personali  da  quella  della iscrizione nel registro dei
falliti  e  rendendo cosi' non necessaria, a tal fine, la sentenza di
riabilitazione.  Puo',  cioe',  ritenersi  che dal 16 gennaio 2006 le
incapacita'   personali   che  conseguono  al  fallimento  permangono
soltanto  finche'  permane  lo  status  di  fallito  e cessano con la
chiusura  del  fallimento,  senza  necessita' della cancellazione dal
registro  dei  falliti.  E  cio'  non solo in relazione ai fallimenti
dichiarati  dopo  il  16 gennaio 2006, ma anche in relazione a quelli
dichiarati in epoca precedente.
    Da  cio'  alcuni  interpreti  e alcune pronunce giurisprudenziali
hanno    desunto    la    conseguenza   della   inammissibilita'   ed
improcedibilita'   dei   ricorsi  per  riabilitazione  depositati  o,
rispettivamente, non ancora decisi al momento della entrata in vigore
della  riforma,  in  quanto  per  far  accertare  la cessazione delle
incapacita' personali e' ormai «assolutamente superfluo percorrere la
strada (un tempo obbligata) della procedura di riabilitazione civile,
istituto  che  ormai  va  confinato  nei libri di storia del diritto»
(cosi'  Trib.  Taranto 20 dicembre 2006; Trib. Vicenza 20 luglio 2006
ha  «ordinato  l'immediata  cancellazione dal registro dei falliti di
tutti  i  nominativi  che  vi  sono attualmente iscritti, non essendo
ragionevole  esigere  che ogni ex-fallito presenti la propria istanza
di  riabilitazione  per  provocare  uno specifico provvedimento a suo
nome»; Tribunale Alba 15 dicembre 2006 ha, analogamente, ritenuto che
«non  puo'  pronunciarsi  la  riabilitazione,  ma  deve  in ogni caso
ordinarsi  la  cancellazione  dal  pubblico registro dei falliti e la
cessazione  di  ogni incapacita' civile derivante dalla dichiarazione
di fallimento»).
    5.  -  Pur  dovendo convenirsi - come appena visto - con il venir
meno della necessita' della cancellazione dal registro dei falliti ai
fini  della  cessazione  delle incapacita' personali ancora derivanti
dal  fallimento  (le  quali  cessano,  ormai,  per effetto della sola
chiusura  della  procedura  concorsuale),  non  pare  pero'  a questo
tribunale  che  cio'  comporti  l'attuale  carenza  di interesse alla
riabilitazione  in  capo  a  chi  sia  stato  dichiarato fallito. Gli
effetti  della  riabilitazione civile, infatti, non si esauriscono in
quelli   espressamente   previsti   dall'art. l42   l.f.  (nel  testo
originario)  e  cioe'  nella cancellazione dal registro dei falliti e
nella  - allora conseguente - cessazione delle incapacita' personali,
ma  comprendono  anche  quelli desumibili dall'art. 241 l.f. (secondo
cui  «la  riabilitazione  civile  del  fallito  estingue  il reato di
bancarotta semplice» e «se vi e' condanna, ne fa cessare l'esecuzione
e  gli  effetti»)  e dagli artt. 24, 26 e 28 d.P.R. 14 novembre 2002,
n. 313  (che  subordinano  alla  riabilitazione  la  non menzione dei
provvedimenti  relativi  al  fallimento  nei  certificati  generali e
civili    del    casellario   giudiziale   rilasciati   a   richiesta
dall'interessato o di pubbliche amministrazioni).
    La  riabilitazione, quindi, quale causa di estinzione del reato o
della pena di bancarotta semplice e quale causa di non menzione della
sentenza  dichiarativa  di  fallimento nei certificati del casellario
giudiziale, continua a costituire una pronuncia giudiziale necessaria
con  effetti costitutivi, alla quale hanno interesse tutti i falliti.
Ne'  e'  prospettabile, per quanto concerne gli effetti in esame, una
soluzione   analoga   a   quella  configurata  con  riferimento  alle
incapacita'  personali derivanti dal fallimento, perche' si tratta di
effetti del tutto svincolati ab origine dalla iscrizione nel registro
dei  falliti e ricollegati alla pronuncia di riabilitazione in quanto
tale,  sicche'  pare  arduo  pervenire  in  via  interpretativa  alla
affermazione  di  una  loro  produzione  generalizzata  che prescinda
dall'accertamento  dei presupposti e delle condizioni previste per la
riabilitazione   civile  e  che  si  riconnetta  esclusivamente  alla
chiusura  del  fallimento,  cio' che equivarrebbe alla abrogazione di
fatto  del  reato  di  bancarotta  semplice  (venendo la chiusura del
fallimento   a  determinare  l'estinzione  del  reato  o  della  pena
eventualmente gia' irrogata) ed alla introduzione di una causa di non
menzione  di  iscrizioni del casellario giudiziale non prevista dalla
legge.   Non   e'   dunque   possibile   desumere  dalla  abrogazione
dell'art. 50  l.f.  una generale inammissibilita' o improcedibilita',
dal   16 gennaio   2006,   dei  ricorsi  tesi  ad  ottenere  sentenza
riabilitativa.
    6.  -  Sennonche'  il  16 luglio  2006  e'  entrata  in vigore la
restante  parte  della  riforma  della legge fallimentare, la quale -
artt. 128  e  129  -  ha  completamente  sostituito  il  capo  IX del
titolo II del r.d. 267/1942, riscrivendo gli articoli da 142 a 144 ed
abrogando l'art. 145, ed ha introdotto, in luogo della riabilitazione
civile  precedentemente disciplinata, l'istituto della esdebitazione,
operante   sul   piano   esclusivamente  patrimoniale  attraverso  la
liberazione  del  debitore  dai  debiti  residui  nei  confronti  dei
creditori  e  sottoposta a termini e condizioni in gran parte diversi
rispetto  all'istituto  previgente.  Cio'  comporta  senz'altro,  dal
16 luglio  2006,  la  inammissibilita' dei ricorsi per riabilitazione
civile relativi a fallimenti disciplinati dalle nuove norme (rispetto
ai   quali   dovrebbero   invece   essere   ammissibili  ricorsi  per
esdebitazione),  ma  non  anche  la  ammissibilita', procedibilita' e
decidibilita' secondo i previgenti artt. da 142 a 145 dei ricorsi per
riabilitazione  riferiti  a  fallimenti  disciplinati dalla normativa
ante-riforma.
    7. - Infatti, il d.lgs. n. 5/2006 contiene (a differenza del r.d.
n. 267/1942,  che  dedicava  alle  disposizioni  transitorie l'intero
titolo  VII  del  capo  IV,  ivi  compreso  l'art. 256  in materia di
riabilitazione  civile,  a  tenore  del quale «anche per i fallimenti
dichiarati  anteriormente alla data di entrata in vigore del presente
decreto  il  fallito,  che  non  ha  gia'  ottenuto  la cancellazione
dall'albo dei falliti a norma delle leggi anteriori, puo' chiedere la
riabilitazione  civile  secondo  le  norme  del  presente decreto. La
cancellazione  dall'albo  dei  falliti  ottenuta  a norma delle leggi
anteriori  produce  gli  stessi effetti della riabilitazione civile»)
una  sola norma transitoria, dettata dall'art. 150, che cosi' recita:
«i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato
fallimentare  depositate  prima  dell'entrata  in vigore del presente
decreto,   nonche'   le  procedure  di  fallimento  e  di  concordato
fallimentare  pendenti  alla  stessa  data,  sono definiti secondo la
legge anteriore».
    8.  -  Stando  al  tenore  letterale della norma, l'ultrattivita'
della  previgente  legge  fallimentare  e'  limitata  (oltre che alle
procedure   per  dichiarazione  di  fallimento  gia'  iniziate)  alle
procedure  di  fallimento  pendenti,  cioe'  gia' aperte e non ancora
chiuse,  alla  data  del  16 luglio  2006 ed e' finalizzata alla loro
definizione,  cioe' alla loro chiusura. Secondo altra interpretazione
(non  seguita  da questo Tribunale, ma accolta da numerosi giudici di
merito)  anche  i  fallimenti  dichiarati  in accoglimento di ricorsi
proposti  prima  del  16 luglio  2006 resterebbero regolati - ai fini
della  loro conduzione e definizione - dalle vecchie norme, ancorche'
aperti   quando  gia'  erano  in  vigore  le  nuove.  Al  di  la'  di
quest'ultima  questione  (che  qui  assume  scarso rilievo), vi e' da
chiedersi,   anzitutto,   se  l'ultrattivita'  di  cui  si  e'  detto
ricomprenda  nel  proprio  ambito  operativo  anche i procedimenti di
riabilitazione,  i quali, ancorche' presuppongano necessariamente una
procedura   fallimentare,  non  costituiscono  fasi  di  quest'ultima
(peraltro gia' necessariamente chiusa perche' la riabilitazione possa
essere  chiesta  e pronunciata), ma procedimenti autonomi, introdotti
da autonomo ricorso e specificamente disciplinati dalla legge.
    9.  -  Stando sempre al tenore letterale della norma transitoria,
il  quesito  deve  avere  risposta  negativa, sicche' l'effetto della
riforma  sui  procedimenti  per riabilitazione pendenti alla data del
16 luglio  2006  o  iniziati  in  data successiva a quest'ultima deve
trovare  disciplina  nelle  regole  di  diritto intertemporale che la
dottrina  e  la  giurisprudenza  desumono dall'art. 11 preleggi e che
vengono  comunemente  espressi  nel  principio di salvezza del «fatto
compiuto»  in  caso  di successione di norme sostanziali (per cui gli
effetti  giuridici  non  ancora prodottisi dovranno dispiegarsi, dopo
l'entrata  in  vigore  della  nuova  norma,  secondo le previsioni di
quest'ultima)   e  nel  principio  tempus  regit  actum  in  caso  di
successione di norme processuali (per cui ciascun atto della sequenza
procedimentale,  sia  per  cio'  che  riguarda  il  regime  della sua
essenza,  della  sua struttura e dei suoi requisiti, sia per cio' che
riguarda  il  regime  delle sue conseguenze, e' di massima sottoposto
alla  legge  del  tempo  in  cui venne posto in vita). In base a tali
principi,  deve  escludersi  in  radice  che  sia piu' possibile, dal
16 luglio  2006,  pronunciare sentenze di riabilitazione (non solo di
soggetti  i cui fallimenti sono disciplinati dalla legge fallimentare
riformata,  ma  anche)  di  debitori  i  cui  fallimenti  sono ancora
disciplinati  dalla  vecchia legge oppure sono stati chiusi prima del
16 luglio  2006  essendosi  interamente  svolti  secondo  la medesima
disciplina  anteriore.  Ne  consegue una preclusione all'accesso alla
riabilitazione  - quale causa di estinzione del reato o della pena di
bancarotta  semplice e di non menzione del fallimento nei certificati
del  casellario giudiziale - per tutti i debitori dichiarati falliti,
i  quali  non  l'abbiano  gia'  ottenuta  prima  del  16 luglio 2006,
ancorche'  le  relative  procedure concorsuali siano state sottratte,
fino  alla  chiusura,  alla  applicabilita' delle nuove norme e siamo
rimaste regolate da quelle previgenti.
    10.  -  E'  evidente  la disparita' di trattamento tra situazioni
identiche   che   questa   conclusione  comporta.  E  se  il  diverso
trattamento  dei falliti sottoposti a procedure disciplinate da leggi
diverse   ratione   temporis   puo'   trovare  giustificazione  nella
diversita' della disciplina applicabile, quest'ultima circostanza non
vale  certamente  a  rendere  razionale la discriminazione - sotto il
profilo   dell'accesso  alla  riabilitazione  -  tra  soggetti  tutti
sottoposti    a    procedura   concorsuale   identicamente   regolata
dall'originario  r.d.  n. 267/1942,  non  trovando  ostacoli logici o
giuridici  la  applicabilita'  ai  fallimenti sottoposti alla vecchia
legge  di tutti gli istituti da quella previsti e venendo a dipendere
in  concreto  la  applicabilita'  o  meno  della riabilitazione dalla
circostanza  casuale  dell'essere  stata questa ottenuta prima di una
certa   data   (e   cio'   non  sempre  per  disinteresse  o  inerzia
dell'interessato,  ma  in  molti casi per non essere ancora decorsi a
quella   data   i   termini   dalla   chiusura   del  fallimento  che
condizionavano la concessione della riabilitazione).
    11.  -  Tale  ultima  considerazione, che evidenzia il rischio di
violazione   dell'art. 3   Cost.,   induce   a   ricercare  soluzioni
interpretative  che  possano  essere, oltre che sostenibili secondo i
canoni  ermeneutici  di cui all'art. 12 preleggi, tali da evitare una
ingiustificata   differenziazione   del   trattamento  di  situazioni
identiche.   Potrebbero,   cosi',   farsi  rientrare  nell'ambito  di
operativita'   dell'art. 150,  d.lgs.  n. 5/2006  anche  procedimenti
diversi  ed  autonomi  rispetto  alle  procedure (pre-fallimentari e)
fallimentari,   che  trovino  pero'  nel  fallimento  un  antecedente
necessario.  La  questione  si  pone  in  termini  analoghi anche con
riferimento  all'applicabilita'  del vecchio o del nuovo art. 24 l.f.
ai  giudizi  che  derivano  da  un  fallimento soggetto, ex art. 150,
d.lgs.  n. 5/2006,  alla  disciplina  previgente  l'entrata in vigore
della  riforma.  Ed  e'  questione  che piu' di un interprete ritiene
debba  essere  risolta  nel secondo senso in base alla considerazione
dell'autonomia  dei  giudizi  che derivano dal fallimento rispetto al
fallimento    stesso,    cui    conseguirebbe   la   inapplicabilita'
dell'art. 150  e  la  applicabilita'  (invece) della nuova disciplina
processuale  non  soltanto  per  i  giudizi  instaurati  a seguito di
fallimenti  dichiarati dopo il 16 luglio 2006, ma anche per i giudizi
derivanti  da  fallimenti gia' pendenti a tale data. In ogni caso, se
pure   si   accedesse   alla   soluzione  contraria  e  si  riferisse
l'ultrattivita'  prevista  dall'art. 150 non solo alla disciplina dei
fallimenti pendenti alla predetta data, ma anche a quella dei giudizi
e dei procedimenti derivanti o comunque connessi a quei fallimenti (e
quindi  anche  ai  procedimenti  di  riabilitazione  promossi dopo la
chiusura  di  uno  di essi), si perverrebbe a conseguenze ancora piu'
irrazionali  sotto il profilo del trattamento diseguale di situazioni
identiche:  la riabilitazione, infatti, sarebbe consentita ai falliti
i  cui  fallimenti erano ancora pendenti (o siano stati dichiarati in
accoglimento  di  ricorsi  gia'  depositati)  alla data del 16 luglio
2006,  ma non anche a quelli i cui fallimenti a tale data erano ormai
chiusi,  pur  trattandosi  di fallimenti sottoposti a identico regime
normativo.
    12.  - Ne' potrebbe riequilibrarsi la discriminazione consentendo
ai  soggetti  i  cui  fallimenti  non fossero piu' pendenti alla data
suddetta  l'accesso  al  nuovo  istituto della esdebitazione, in base
alla  considerazione  (peraltro opinabile) che alla non ultrattivita'
delle  vecchie norme corrisponde l'applicabilita' delle nuove. In tal
modo,  infatti  (e  senza considerare la diversita' dei presupposti e
degli   effetti  dei  due  istituti),  non  solo  si  introdurrebbero
ulteriori  profili  di  irrazionalita'. del trattamento di situazioni
identiche  (giacche'  solo  alcuni  dei fallimenti regolati fino alla
chiusura   dalla  medesima  disciplina  di  cui  all'originario  r.d.
n. 267/1942 darebbero - in astratto - diritto alla esdebitazione), ma
si  priverebbero  di  fatto  i  debitori i cui fallimenti siano stati
chiusi  da  piu'  di  un  anno  prima  del  16 luglio  2006 sia della
riabilitazione,  sia  della  esdebitazione, poiche' quest'ultima puo'
essere  concessa soltanto con il decreto di chiusura del fallimento o
sul  ricorso  del  debitore  presentato  entro l'anno successivo alla
chiusura   (art. 143   l.f.   come  riscritto  dall'art. 128,  d.lgs.
n. 5/2006).  Ed  infatti  nei  casi  noti  in cui i tribunali si sono
trovati  a  decidere  su  ricorsi  per  riabilitazione  presentati da
debitori i cui fallimenti erano stati aperti e chiusi sotto il vigore
della  legge  fallimentare  previgente  sono  dovuti, pur ipotizzando
l'ammissibilita'  dei  ricorsi, pervenire al loro rigetto quanto meno
per  decorso  del termine annuale (cosi' Tribunale Padova e Tribunale
La Spezia, entrambi in data 5 ottobre 2006).
    13.  -  L'unico correttivo che potrebbe consentire di pervenire a
soluzioni  non  discriminatorie  quanto  meno  delle  situazioni  dei
soggetti   i  cui  fallimenti  siano  stati  e/o  siano  disciplinati
dall'originario   r.d.  n. 267/1942  (la  diversita'  di  trattamento
connessa  alla diversita' della disciplina applicabile alla procedura
concorsuale  non  viene  in  rilievo  nel caso di specie e cio' esime
dall'approfondire   l'esame   della   sua   valutazione  in  rapporto
all'art. 3  Cost.)  consiste  nel  considerare  «pendenti»,  ai  fini
dell'art. 150,  d.lgs.  n. 5/2006, non solo le procedure aperte e non
ancora  chiuse  fino  al 15 luglio 2006, ma tout court ogni procedura
aperta  prima di tale data e - ancorche' chiusa - ancora suscettibile
di esplicare effetti indiretti, quale presupposto del procedimento di
riabilitazione.  In  tal  modo,  per tutti i fallimenti sottoposti al
regime  della  vecchia  legge  fallimentare  -  in  qualsiasi momento
dichiarati  e chiusi - sarebbe consentito l'accesso degli interessati
agli  effetti  di  estinzione  del  reato  o della pena di bancarotta
semplice  e  di  non  menzione  del  fallimento  nei  certificati del
casellario   giudiziale,  ancor  oggi  derivanti  dalla  sentenza  di
riabilitazione.
    Ma   a  tale  risultato  non  sembra  potersi  giungere  per  via
interpretativa,  considerato  non  solo  che  il  termine  «pendenti»
utilizzato dal legislatore per regolare l'ultrattivita' delle vecchie
norme  evoca procedure tutt'ora in corso (e non certo anche procedure
chiuse  anche  da diversi anni), ma che al medesimo risultato conduce
anche  la esplicita finalizzazione della ultrattivita' in parola alla
«definizione»  delle  procedure  stesse  (con  cio'  escludendosi  la
applicabilita'  della legge anteriore a procedure gia' definite). Non
puo',  inoltre, non tenersi in conto che, se si fosse voluto riferire
anche  alle  procedure  fallimentari non piu' pendenti alla data piu'
volte  ricordata  ed ai procedimenti ad esse connessi, il legislatore
(per  quanto  si tratti di un legislatore la cui tecnica di redazione
delle  norme  e'  stata  da piu' parti definita sciatta, incompleta e
ricca  di  sviste  ed  omissioni)  avrebbe  potuto piu' semplicemente
prevedere  l'applicabilita'  della  legge anteriore in relazione alle
procedure «aperte» o «iniziate» prima della data di entrata in vigore
della  legge nuova. Ad operare simile correzione non pare legittimato
l'interprete,   il  quale  puo'  solo,  ricorrendone  le  condizioni,
sollecitare   l'intervento  dell'organo  preposto  alla  verifica  di
costituzionalita' delle leggi.
    14.  -  La  constatazione  della  disparita'  di  trattamento  di
situazioni   identiche   determinata   da  tutte  le  interpretazioni
possibili  dell'art. 150,  d.lgs.  n. 5/2006,  il  quale  non prevede
l'applicabilita'  della  previgente  disciplina  della riabilitazione
civile  (artt.  142-145)  in  relazione a tutti i fallimenti soggetti
alla  medesima  disciplina  normativa  posta dal r.d. n. 627/1942 nel
testo  originario,  si  traduce, quindi, in questione di legittimita'
costituzionale  per  violazione  dell'art. 3  Cost.,  che deve essere
sollevata  d'ufficio,  giacche'  sussistono  le  condizioni  previste
dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
    15.  -  La  questione, infatti, e', anzitutto, non manifestamente
infondata,   per   quanto   si   e'   gia'   osservato   sopra  circa
l'irragionevolezza  della  disparita'  di  trattamento  cui da' luogo
l'impossibilita'  di  accesso  ai perduranti effetti favorevoli della
riabilitazione  da  parte  di  soggetti  il  cui  fallimento e' stato
disciplinato  -  dalla  dichiarazione  fino  alla  chiusura  -  dalla
precedente   legge   fallimentare,   per  la  sola  circostanza  (non
necessariamente  dipendente  da  inerzia  degli  interessati) del non
essere  stata  la  riabilitazione  pronunciata  prima  della  data di
entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 5/2006  (alla  cui  disciplina i
fallimenti  in  questione  restano  estranei).  E'  sufficiente, poi,
ricordare il costante insegnamento del giudice delle leggi (su cui si
veda,  ad  esempio,  Corte  cost.  6  giugno 2006 n. 234) secondo cui
comporta  violazione del principio di uguaglianza costituzionalizzato
dall'art. 3  Cost.,  una disciplina normativa che implichi disparita'
di  trattamento  di situazioni sostanzialmente uguali, venendo, nella
specie,  a riservare un trattamento deteriore a chi non abbia potuto,
alla  data  di entrata in vigore della riforma, ottenere una sentenza
di   riabilitazione,   rispetto   a   chi,  versando  nella  medesima
situazione,  aveva  gia'  potuto  usufruire  della  riabilitazione  e
beneficiare degli effetti della stessa, quale causa di estinzione del
reato  di bancarotta semplice o della relativa pena e di non menzione
del fallimento nei certificati del casellario giudiziale.
    16.  -  La  questione e', oltre che non manifestamente infondata,
anche  rilevante,  poiche' la norma sospettata di incostituzionalita'
deve  trovare  applicazione  ai  fini'  della  decisione del presente
ricorso  e  comporterebbe  una  declaratoria  di inammissibilita' del
ricorso medesimo, laddove l'eventuale dichiarazione di illegittimita'
costituzionale  consentirebbe  invece  al  Tribunale di esaminare nel
merito  la  fondatezza  ed  al ricorrente di ottenere, poiche' - come
detto  in  premessa  -  ne  ricorrono le condizioni, una pronuncia di
riabilitazione  civile  che abbia come effetti (se non quello di fare
cessare   le  incapacita'  personali  derivanti  dal  fallimento,  da
ritenere  comunque  ormai  cessate) l'estinzione della pena applicata
per  il reato di bancarotta semplice e la non menzione del fallimento
nei certificati del casellario giudiziale.
    17.  -  Pertanto,  deve essere rimessa alla Corte costituzionale,
cui   vanno   trasmessi   gli  atti,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale,   in   relazione   all'art. 3   della   Costituzione,
dell'art. 150,  d.lgs.  9  gennaio  2006,  n. 5,  nella parte in cui,
limitando  la  applicabilita' della legge anteriore alle procedure di
fallimento  pendenti  alla  data  di  entrata  in  vigore del decreto
medesimo  ed  ai  fini  della loro definizione, anziche' estenderla a
qualsiasi  fine  a  tutti  i  fallimenti  dichiarati prima della data
stessa,  non  consente  di  ottenere  la  riabilitazione  civile e di
beneficiare  dei  persistenti  effetti  della  stessa (quale causa di
estinzione  del  reato  o  della pena di bancarotta semplice e di non
menzione  del  fallimento  nei  certificati  generali  e  civili  del
casellario   giudiziale  rilasciati  a  richiesta  di  privati  o  di
pubbliche  amministrazioni); ai soggetti i cui fallimenti siano stati
o  restino  disciplinati  esclusivamente  dalla  legge  anteriore. Il
presente giudizio deve essere conseguentemente sospeso.